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Location, Arab Spring, Breve storia del resto del mondo, exhibition view, photo by Giacomo D’Aguanno

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Nuovo paesaggio italiano (Ravenna-Roma)

2009-2010 Acquarello e intagli, legno, lamiera e specchio 345 x 200 x 550 cm

Fabbricati architettonici dall’estetica minimalista, poveri benché di assoluto rigore compositivo, sorgono furtivamente di notte sulle colline al confine tra Israele e Giordania. Si chiamano outpost e sono costruiti dai giovani israeliani discendenti dei primi coloni, determinati promotori di un “risorgimento ebraico” che affermi la propria legittima presenza in quelle terre. Una sorta di manifesto delle proprie radici, della propria storia, della propria identità. Agglomerati prefabbricati che proclamano con la propria presenza, un diritto di permanenza, stabilità, status.

A queste strutture si richiama la grande installazione architettonica di Pietro Ruffo (Roma, 1978), Nuovo paesaggio italiano (Ravenna- Roma), che unisce all’interno di un unico processo di stratificazione, due corpi maestri, parte di un progetto in itinere di cui ogni parte rappresenta una tappa. La struttura più bassa in legno e metallo, già realizzata per Ravenna si completa in questa occasione con la costruzione di una torre, una sorta di container rovesciato, in lamina e vernice industriale. L’articolata costruzione, una palafitta sollevata da terra di circa un metro, così come nelle originarie abitazioni, lascia spazio sul pavimento della sala all’inattesa apertura di una profonda cavità, che ci invita ad affacciarci verso il basso.

L’idea della voragine, che improvvisamente squarcia il terreno, tocca nell’immaginario dell’artista le paure ancestrali di un mondo spaventoso e ignoto. Ma altrettanto l’idea della ricerca, della memoria, delle fondamenta, delle radici, della millenaria stratificazione tra natura e cultura, in cerca di un eterno equilibrio, di cui la storia è testimone. Un processo nel quale la forza incolta della natura recupera di volta in volta il terreno che le è stato sottratto dall’opera dell’uomo, e che

quindi la civiltà con i suoi residui architettonici è pronta a riaffermare.

L'opera di Pietro Ruffo si costruisce così di continui richiami, citazioni, forme e passaggi, di cui Roma e il Museo stesso sono testimoni, e tocca le corde della memoria collettiva, che rende riconoscibili a tutti le fattezze della Chiesa ravennate di San Vitale, e altrettanto irriconoscibili le forme ignote di un reperto anonimo, un oggetto, un luogo che immerso e divorato dalla natura romana poco racconta se non l’esito di un vissuto.

Ilaria Marotta